Appetito – Cosa succede nella nostra testa quando ci apprestiamo a mangiare?
All’interno della nostra testa sono tre gli aspetti che controllano il nostro appetito:
- Il primo è l’aspetto omeostatico: ossia abbiamo necessità di mangiare per vivere e mantenere l’omeostasi del nostro organismo. Il cibo ci fornisce le riserve energetiche per portare avanti le attività del vivere quotidiano e quindi quando abbiamo fame e cerchiamo il cibo il primo motivo è che abbiamo bisogno di mangiare per sostentarci.
- Il secondo aspetto è quello edonistico, ossia legato al piacere del mangiare. Se passiamo davanti ad una rosticceria e sentiamo un forte profumo di pizza appena sfornata, molto probabilmente ci verrà voglia di consumarne un trancio. Questo aspetto sta venendo particolarmente in luce in questo momento in cui stiamo affrontando, a vari livelli, numerose restrizioni per il lockdown legato alla pandemia di COVID-19. L’impossibilità di godere di molti dei piaceri della vita, ci porta spesso ad abusare del cibo come unica fonte di piacere, volta a supplire le numerose privazioni che dobbiamo affrontare nel quotidiano.
- Il terzo aspetto è l’aspetto cognitivo che ha a sua volta tre componenti: apprendimento, attenzione e memoria.
Ma allora cosa influenza il nostro appetito?
A volte noi pensiamo di mangiare senza prendere una decisione razionale in quel momento, senza pensarci su. Ma ci sono molte cose che noi facciamo per apprendimento e senza necessariamente pensarci su, come ad esempio guidare la macchina. Anche quella è un’attività che richiede attenzione, studio e memoria ma, una volta che l’abbiamo imparata, la svolgiamo apparentemente senza nessuno sforzo o attenzione. Lo stesso vale per il mangiare. Può sembrare che noi lo facciamo senza pensarci su, ma in realtà ci pensiamo sempre senza rendercene conto.
Immaginiamo di trovarci davanti alla rosticceria di cui sopra ed aver sentito il profumo di pizza appena sfornata. Se seguissimo solo l’aspetto omeostatico, entreremmo in rosticceria a comprare la pizza solo se avessimo realmente fame. Se seguissimo solo l’aspetto edonistico, entreremmo in rosticceria anche se avessimo appena finito di mangiare. E’ qui che entra in gioco l’aspetto cognitivo, che ci può far decidere razionalmente di entrare in rosticceria o di non farlo sulla base di altre variabili, ad esempio per l’impatto che potrà avere quel pasto sulla mia salute, o per motivi religiosi (ad es. sto seguendo un digiuno rituale) o per convinzioni morali (ad esempio seguire una dieta vegetariana) etc etc.
Parliamo nel dettaglio delle tre componenti dell’aspetto cognitivo dell’ appetito: la prima è l’apprendimento. Ad esempio con l’esperienza posso imparare che se mangio una quantità eccessiva di dolciumi avrò mal di pancia o mi verranno le carie o potrei ingrassare. L’apprendimento, sulla base dei miei obiettivi personali e delle mie motivazioni, mi permetterà di compiere una scelta rispetto ad un’altra. L’apprendimento entra in gioco anche in quelli che sono i gusti sulla base di quelle che sono le abitudini alimentari acquisite nella prima infanzia. I gusti che ci piacciono di più sono quelli che abbiamo appreso nella prima infanzia, sulla base delle abitudini sociali, culturali e familiari.
L’attenzione è un altro elemento fondamentale. Se la nostra mente è occupata in altre attività nel mentre mangiamo, l’aspetto cognitivo viene bypassato e si tende a mangiare di più di quello che l’aspetto puramente omeostatico dell’ appetito ci porterebbe a fare. Questo accade se si mangia mentre si guarda la televisione, oppure si usano i video giochi. Studi molto recenti hanno dimostrato che anche utilizzare lo smartphone mentre si mangia porta a distogliere la mente dall’atto del mangiare e in più elicita un altro aspetto importante che è quello della socialità. Gli smartphone di solito si utilizzano per i social media e per contattare altre persone ed è dimostrato che mangiare insieme ad altri porta a far mangiare di più, per via dell’aspetto imitativo. Quanti di noi durante il lockdown hanno organizzato aperitivi su Houseparty con gli amici a distanza? Probabilmente lo stesso aperitivo non lo avremmo consumato se fossimo stati da soli a casa. Mangiare in compagnia può indurre ad aumentare l’introito calorico di oltre il 40%.
Ultimo, ma non ultimo, elemento dell’aspetto cognitivo del mangiare è la memoria. Avere memoria di quello che abbiamo mangiato prima ci porta a consumare meno cibo dopo. Persone che hanno deficit di memoria a breve termine, come nelle forme di demenza senile, tendono a consumare più volte lo stesso pasto a prescindere dalla fame perché non ricordano di avere già mangiato. Per la motivazione uguale e contraria, è molto utile scrivere quello che si mangia (compilare il così detto diario alimentare). Avere memoria di quello che si è mangiato ci porta a mangiare di meno e in generale a scegliere quello che mangiamo in modo più consapevole. Negli aspetti della memoria rientrano anche gli aspetti evocativi del mangiare un determinato cibo. Ad esempio mangiare il pasto della domenica a casa della nonna ha un altro sapore rispetto a mangiare le stesse pietanza da soli a casa. O mangiare gli spaghetti con le vongole in riva al mare con gli amici in vacanza ha tutto un altro sapore rispetto a consumare la stessa pietanza da soli a casa.
Si parla di “mindful eating” per intendere proprio la consapevolezza rispetto a tutti questi aspetti che noi abbiamo menzionato, l’ appetito, il piacere e le scelte consapevoli per la salute nostra e quella del pianeta che noi facciamo nel momento in cui scegliamo cosa mangiare e consumiamo un pasto.
Prima di consumare un pasto iniziamo ad immaginare il cibo che mangeremo o lo vediamo concretamente ed inizia un “gioco delle parti” fra gli obiettivi correlati al pasto (di salute ad esempio), la memoria del gusto e il piacere del pasto. Questo processo determinerà se il soggetto inizierà a mangiare e cosa sceglierà di mangiare. Questi processi avvengono nella corteccia prefrontale dorsolaterale e ventromediale.
Durante il pasto la palatabilità e la capacità di gratificazione del pasto diminuiscono a mano a mano che si mangia fino a che il soggetto non decide di smettere di mangiare. Inoltre l’attenzione che si pone all’atto del mangiare e il controllo cognitivo possono influenzare il momento in cui si decide di smettere di mangiare. Ad esempio se ho l’obiettivo di perdere peso posso decidere di smettere di mangiare anche se ho ancora fame. Questi processi hanno luogo nella corteccia dorsolaterale e nella corteccia orbito-frontale.
In ultimo c’è quello che accade fra un pasto e l’altro, momento in cui agisce la memoria del pasto precedente a influenzare la decisione su quando iniziare un nuovo pasto. Questo processo avviene nell’ippocampo.
A livello cerebrale gli impulsi nei singoli nuclei appena menzionati vengono dati da ormoni secreti in larga parte all’interno del tubo digerente. Ognuno di questi è codificato da un gene diverso e quindi ognuno di noi può avere una attitudine diversa nei riguardi del cibo a seconda della sua genetica. Ad esempio ci sono persone più “golose” nelle quali l’aspetto edonico legato al cibo è particolarmente espresso o persone più “voraci” nelle quali l’aspetto omeostatico è prevalente.
A prescindere dalle proprie attitudini soggettive, sulle quali possiamo poco avere influenza (è come dire che abbiamo gli occhi celesti, non possiamo trasformarli in marroni), dobbiamo sempre ricordarci che l’aspetto cognitivo può sempre prevalere sugli altri aspetti e ci può permettere, con l’esercizio e le giuste motivazioni, di fare scelte più consapevoli.
Possiamo ad esempio esercitarci scrivendo un diario alimentare di quello che mangiamo, così da essere più consapevoli delle nostre scelte. Il diario alimentare va sempre compilato nel momento stesso in cui stiamo mangiando nell’arco della giornata.
Possiamo poi proporci degli obiettivi a breve termine che siano concreti, realizzabili e piacevoli. Ad esempio, se abbiamo deciso di iniziare un regime dietetico con un obiettivo di salute, possiamo pensare che saremo presto in grado andare a correre con gli amici senza avere il fiatone o di indossare un abito che ci piace tanto senza imbarazzo.
Con il giusto esercizio possiamo imparare ad ascoltare il nostro corpo e capire quando ha realmente fame per sostentare le sue necessità.
Dobbiamo anche capire che il piacere è un elemento fondamentale della nostra vita ed è espresso anche nell’alimentazione. E’ importantissimo preservare questo ambito in modo tale che il cibo non sia l’unica fonte di piacere nella nostra vita e viceversa impegnarci nella preparazione del pasto in modo da renderlo piacevole per il nostro gusto.
E in ultimo impariamo che la nostra mente è sempre lei a dire l’ultima parola e ci può permettere di fare le nostre scelte.
In una società nella quale c’è sempre cibo in sovrabbondanza rispetto alle nostre reali necessità legate solo all’aspetto omeostatico del mangiare, il dilemma nella scelta si pone perché i vari aspetti spesso vanno in conflitto fra di loro e l’aspetto edonistico legato al piacere estemporaneo che ci da mangiare un cibo particolarmente appetitoso tende sempre a prevalere rispetto alla ricompensa a lungo termine che l’aspetto cognitivo ci fa riconoscere (ad esempio ridurre il livello di colesterolo nel sangue e quindi ridurre il rischio di eventi cardiovascolari) con il rischio di consumare cibo in eccesso o di scarsa qualità e quindi di andare incontro a patologie come l’obesità o la sindrome metabolica. Viceversa il controllo razionale eccessivo, bassato su convinzioni razionali “salutistiche” a volte radicali (pensiamo alle persone affette da patologie come l’anoressia o l’ortoressia) può prevalere e sovrastare completamente l’aspetto edonistico e omeostatico del mangiare.
Il benessere, come sempre, viene dall’equilibrio. Una preponderanza di una o l’altra delle componenti delle nostre scelte alimentari possono condurci a condizioni patologiche anche gravi.